Attività Giovanile
Articolo200701
pagina aggiornata il 11 gennaio 2008 da Stefano

Vecchio scomodo scarpone…eppur bisogna andar.

Parco Naturale di Sennes, Fanes e Braies: paesaggio indimenticabile e suggestivo nel cuore delle Dolomiti. Luogo pieno di leggende, popolato da folletti e gnomi, marmotte e aquile, principesse e principi. Questa è stata, all’inizio estate, la meta della gita di due giorni che i ragazzi del gruppo dell’Alpinismo Giovanile della nostra sezione hanno fatto pernottando al rifugio Lavarella.

Classico ritrovo all’alba, pullman ad attenderci, addii struggenti a mamma, papà, fratelli, sorelle, nonni, zii, ecc… Partenza. Dopo tre ore di viaggio ci fermiamo al passo Falzarego dove abbandoniamo il gruppo degli “anziani” all’imbocco di un percorso più impegnativo ed adatto alle loro capacità, per poi proseguire, sempre in pullman, per la Capanna Alpina, punto di inizio della nostra gita.

Non abbiamo ancora incominciato a camminare che siamo già nei guai. Il pullman è già ripartito (da parecchio) e qualcuno lamenta dei dolori ai piedi. Un paio di scarponi sono all’improvviso diventati corti, il piede dentro ci sta bello rattrappito: unica cosa da fare chiamare l’autista del pullman e farlo tornare indietro visto che avevamo lasciato lì il cambio con le scarpe da ginnastica. Non molto contento di questo contrattempo l’autista ritorna e ci sollecita a prendere quello che ci occorre ricordandoci, con l’autorità di chi al volante deve manovrare il corrierone su stradine di montagna, che non sarebbe ritornato un’altra volta.

Finalmente si parte. Arriviamo alla Capanna Alpina e i nostri guai non sono ancora finiti. Questa volta tocca ad un paio di bellissimi scarponcini, quasi nuovi, la cui suola si divide letteralmente dal resto dalla scarpa. Dopo un attimo di smarrimento generale ecco sbucare da uno zaino un paio di sandali che risulteranno provvidenziali per il prosieguo della gita. Un adulto farà il cammino con areate calzature in stile francescano, e speriamo che non piova. Intanto scampato pericolo.

A farci dimenticare i guai ci pensa lo spettacolo naturale che si apre davanti a noi man mano che camminiamo. I fiori sono tantissimi e tutti colorati, un gruppo di cavalli mustang ci accompagna per un tratto, qualcuno si fa anche toccare, ma è meglio non avvicinarsi troppo, non si sa mai. Ad un incrocio di sentieri ci ritroviamo per un tratto con il gruppo dei grandi e finalmente (dopo aver sforato di ben tre ore l’orario di arrivo previsto) raggiungiamo il rifugio Lavarella dove ci godiamo una deliziosa cenetta ristoratrice.

Arriva l’ora del sacco lenzuolo. Qualcuno trascorre i primi minuti della nottata al fresco delle stelle per sbollire l’agitazione che precede la nanna in camerata, ma presto un meraviglioso silenzio si stende su ogni branda. Per altri un pò di mammite si insinua tra le lenzuola.

Tutto passa, anche l’emozione della prima notte in rifugio, e finalmente arriva un’alba luminosa che ci fa ben sperare in una giornata serena.

Un saluto al gestore che ci ha ospitato e siamo pronti a partire.

Ci aspetta una bella camminata e, per la gioia del gruppo ancora ignaro, quasi tutta in discesa (le cartine queste sconosciute…). Risaliti al Passo di Limo con il bellissimo laghetto omonimo un elicottero a bassa quota ci svolazza intorno, i saluti non si sprecano e tra mani che si muovono e gridolini si allontana velocemente.

La discesa è bella perché sembra di non far fatica, ma poco dopo, ahimè, qualcuno lamenta forti dolori all’alluce. I casi si susseguono, qualcuno resiste silenziosamente al dolore, per altri sembra scoppiata quasi un epidemia (“ohi-ohi”, “ahi-ahi” “uhi-uhi” e l’immancabile “quanto manca?”). Dopo qualche tentativo non andato a buon fine di cambio scarponi, arriviamo alla meta più attesa della gita: un percorso ferrato che ci porta a delle bellissime cascate. Armati di imbrachi, moschettoni e caschi, divisi in piccoli gruppi il dolore ai piedi magicamente sparisce: il sentiero attrezzato ci porta a passare addirittura dietro alla cascata, un salto del torrente di parecchi metri visto dalla parte della montagna camminando proprio dietro al muro d’acqua (come facevano gli indiani in certi vecchi film) .

Dopo questo divertente percorso altro dislivello verso il fondovalle ci attende e con esso altre torture di piedi. Finalmente, come un miraggio, appare il pullman e nella sua pancia metallica le nostre comode scarpe da ginnastica. Qualcuno si chiede come mai gli scarponi sono all’improvviso sono diventati stretti: sarà la forza della gravità in discesa che fa allungare i giovani piedi?

Io mi sono fatta un’idea tutta mia: chissà che qualche folletto (magari travestito da marmotta) non si sia burlato di noi accorciandoci gli scarponi. E, pensandoci bene, giurerei di aver sentito delle piccole risa in mezzo ai cespugli man mano che scendevamo. Comunque, folletti burloni a parte, è proprio un posto fantastico.

Enrica & Gloria


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