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Tra l'Età del Bronzo e l'Età del Ferro, in un arco approssimativo di 1500 anni, si sviluppò la cosiddetta Civiltà dei Castellieri. Lontani dal mare, posti sulle alture, a protezione da assalti e scorrerie, sicuri ripari da animali predatori, sorsero in gran numero dall'Istria al Trentino, dalla Liguria alle Marche e alla Puglia.
Nella nostra zona erano abitati dagli Istri, fiera popolazione indipendente che, ad un certo punto della storia, venne a contatto con i Romani. Costretti, nel 221 a.C., a pagare un tributo in segno di sottomissione, persero la propria autonomia. Successivamente, la deduzione di una colonia di diritto latino ad Aquileia (181 a.C.) fu il preludio della definitiva annessione di questa nobile e fiera popolazione avvenuta pochi anni più tardi.
I castellieri erano dei veri e propri villaggi fortificati, dalla forma circolare od ovale, protetti da una o più cinte murarie fatte di pietre ammassate e accatastate, cementate da arbusti e terra, di varia larghezza ed altezza. Una o più entrate erano ricavate per permettere agli uomini e agli animali domestici di rifugiarvisi in caso di assalti o di vivere in misere capanne a pianta rettangolare o circolare, costruite in legno e pietre, poste su terrazzamenti che formavano zone pianeggianti adatte alla costruzione. Le popolazioni, stanziali, esercitavano un'economia agricolo-pastorale, l'allevamento di suini, caprini e ovini e sembra avessero l'abitudine d'incendiare i pascoli nell'inverno per rinnovare il manto erboso, ma anche di tagliare gli alberi che servivano come materiale di consumo e come combustibile per uso domestico. Un elemento di grande importanza era l'acqua, che doveva essere disponibile se non dentro la struttura, almeno nelle vicinanze (vedi laghi carsici e i fiumi Vipacco e Isonzo).
Nel Settecento venivano attribuiti ai castellieri origini romane (resti di accampamenti), ipotesi avvalorata nella metà dell'Ottocento da Pietro Kandler, il quale affermava che i castellieri appartenevano ad un sistema di fortificazioni romane. Ma sarà Richard Burton (esploratore, letterato e console britannico a Trieste dal 1872 al 1890), in una relazione del 1877 a considerarli, in seguito a sue indagini, come monumenti preistorici. Fu Carlo Marchesetti, medico, botanico, paletnologo e archeologo triestino, direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste (dal 1876 al 1921) a studiarli in modo sistematico in quel libro I castellieri preistorici di Trieste e della Regione Giulia che fu la prima opera scientifica sull'argomento. La zona monfalconese comprende sei castellieri: il Castellazzo (m 155), alto sul lago di Doberdò e nei pressi di Casa Cadorna; Vertace (m 144), posto sulla quota omonima ed uno dei più vasti; Golas (m 121), localizzato nei pressi della Cima di Pietrarossa, ricca di trincee scavate nella prima guerra mondiale; Monte Falcone (m 88) su cui ora sorge la Rocca, simbolo di Monfalcone; le Forcate (m 62) con un vallo ben visibile ancora oggi ed infine la Gradiscata o San Polo (m 60) a duplice cinta, ai cui piedi esiste una piccola grotta da cui scaturisce una sorgente.
Oggi, percorrendo questo itinerario e scorgendo sistematici accumuli di sassi e di pietre, non sarà difficile per chiunque immaginare la dura vita di coloro che qui abitavano. Quel poco che è rimasto, custodito in piccoli musei (materiale ceramico, manufatti in bronzo e ferro, terracotte, utensili per uso domestico, attrezzi destinati all'agricoltura, oggetti di abbigliamento, vasellame, oggetti in osso per impugnature e manici, anche oggettistica in ambra), appartiene al nostro patrimonio culturale.